Partecipo alla terza edizione di WM Expo a Padova, un evento sempre ben organizzata e ricco di stimoli interessanti.
Intervengo su un argomento che mi interessa molto, portando un mio personale punto di vista.
Quando si parla di “apocalisse del retail” si intende, quasi sempre, la sparizione dei piccoli negozi a fronte della crescita delle vendite online. Gli atteggiamenti vanno dallo stupore, alla riprovazione, allo sgomento per un cambiamento a cui sembra di non essere preparati.
L’espressione “apocalisse del retail” gira almeno dal 2014 ed è diventata fortunata nel 2017. Arriva dagli Stati Uniti con foto di centri commerciali chiusi, notizie di negozi che abbandonano le posizioni fisse, mutamenti epocali. Si riporta tutto in Italia, dove effettivamente il commercio è in difficoltà.
Quando poi si entra nello specifico si scopre che negli Stati Uniti è in crisi un modello verticale di distribuzione che si concentra nei department store, grandi negozi con superfici intorno ai 15 mila mq, che in Italia praticamente non esistono.
E come sempre quando si parla di Apocalisse, bisogna trovare un colpevole.
Colpevole dell’apocalisse del retail è Amazon, al di là delle colpe o dei meriti effettivi.
Negozi con le vitamine = ecommerce?
Se questo è il commercio del 1930, non è aggiungendo la vendita online che cambia la situazione e pensare di preservare questo commercio, non fa notare almeno due cose importanti.
- I brand non riescono più a definire le persone per l’uso dei loro prodotti.
- La distribuzione si sta modificando e l’irrompere dei marketplaces online ridefinisce il modo stesso in cui i brand si rapportano ai consumatori.
La caratteristica principale del commercio è il cambiamento. Commerciare è una attività intrinsecamente sociale, connessa alla natura umana. Il commercio si è continuamente adattato alle situazioni.
C’è stato un breve periodo in cui le marche hanno letteralmente spinto addosso i prodotti al consumatore, costruendo le identità precise a cui ispirarsi nel momento della scelta del loro prodotto.
Oggi, il consumatore ha una identità personale e seleziona i brand. I brand ospitano il consumatore.
I consumatori possono ancora essere influenzati, magari ancora guidati per selezionare un prodotto, ma i prodotti sono un riflesso della identità personale e non la forma di questa identità.
Il consumatore ha accesso a infinite informazioni. Da solo o con gli amici è in grado di valutare, convalidare e attuare il desiderio per un prodotto prima che un qualsiasi rivenditore o un marchio sappia che è interessato.
Il consumatore è molto avanti alle aziende e non dietro alle loro idee di mondo, che costruiscono ancora come se fossero 30 anni indietro.
Amazon
In larga misura Amazon è responsabile di questo cambiamento.
Amazon e pochi altri marchi stanno prevedendo il consumatore, non i prodotti e rispondono ai consumatori con quello che i loro algoritmi e la somma dei dati raccolti dicono ai consumatori.
Amazon riflette i desideri del consumatore ed è questa la spiegazione per cui la ricerca di un prodotto da acquistare comincia per il 59% su Amazon
Amazon è così spesso giusto nel riflettere i desideri del consumatore, che il consumatore ha cambiato come e dove si acquista. Amazon è indiscutibilmente nella testa del consumatore per soddisfare i suoi desideri di oggi. Amazon è una media company, entra nella distribuzione locale, in mercati come i ricambi auto, il vino, i liquori, i mobili, gli arredi. Nessun mercato è al sicuro.
Se sei nella vendita al dettaglio, ma anche nella distribuzione, competi contro Amazon.
Amazon è il nemico?
Vero. Amazon è una minaccia per ogni attività e sta cambiando il modo in cui funzionerà il retail, fisico o digitale che sia, negli anni a venire.
E che sia una minaccia non è certo negabile.
Poi leggo anche notizie interessanti come quanto pubblicato da Quartz: “Amazon salva Whole Foods dalla sua pretenziosità” e dal suo destino di catena di ottimi prodotti solo per ricchi.
Per questo rimango senza parole quando sento affermazioni del genere:
“… non posso concepire un mondo dove Amazon sia in grado di competere con la nostra esperienza tecnica. Come possono offrire le stesse conoscenze sui prodotti come facciamo noi con i nostri clienti?”
“Non mi interesso di Amazon perché li battiamo costantemente con il nostro servizio”
Senza inutili polemiche: davvero?
Davvero non è concepibile? Niente è fuori della portata di una azienda che ha una capitalizzazione di 448 Miliardi di dollari e cassa di 22 Miliardi di dollari, che sia tecnologicamente superiore alla concorrenza e che ha un riconoscimento globale e onnipresente del suo brand.
Nemico con privilegi.
La tua strategia è affrontare Amazon per non essere schiacciato?
Mi dispiace, ma potrebbe essere troppo tardi.
Vuoi diventare l’Amazon del tuo settore?
Mi dispiace, Amazon è già nel tuo settore.
Lavora per i tuoi obiettivi e lavora per gli obiettivi che fanno di Amazon una minaccia e un successo. Lo fai sapendo esattamente cosa fare e cosa ottenere.
-
Abbraccia il nemico.
Vendi contro, vendi con e vendi per Amazon. Fornisci prodotti, servizi e vantaggi competitivi che aumentano la tua attività e quella della tua massima minaccia. Se voglio gli amici vicini, vorrei i nemici più vicini. -
Genera contanti. Il denaro genera agilità.
Punta ad ottenere efficienza ed efficacia con le tue persone, i processi e la tecnologia.
Il tempo perduto, l’inventario e il capitale sono debolezze che non è più possibile tollerare. -
Scopri e valorizza il tuo vero vantaggio competitivo.
Concentrati sulla tua nicchia e monetizza, piuttosto che cercare di competere sul prezzo e sulla disponibilità.
Ci sono brand come Nike che, dopo aver escluso per tanti anni di vendere su Amazon, fanno un accordo diretto e scendono in campo con risultati importanti.
Ci sono brand come Birkenstock che, altrettanto legittimamente, non vogliono che i loro prodotti siano venduti su Amazon.
Agisce forte
- La preoccupazione per il controllo sui prezzi di vendita.
- La preoccupazione per i prodotti falsi.
- La preoccupazione per il valore del brand e la trasformazione in commodity.
- Il desiderio di portare le vendite direttamente sul propio ecommerce e sulla rete distributiva.
Ci sono prodotti che non sarà mai possibile vendere su Amazon. Non sto dicendo che qualsiasi cosa in vendita su Amazon ottiene risultati mirabili. Il focus del ragionamento riguarda le imprese e i marchi che non hanno ancora scelto il digitale e che possono avere ottime opportunità, se investono sapendo quello che fanno.
Che fare?
Penso a molte aziende che vendono sia B2B2 che B2C, ma che non conoscono il loro consumatore finale.
Molte di queste aziende hanno ottimi prodotti, ma nessun controllo sui loro marchi e sulla distribuzione e se la giocano stagione dopo stagione, anno dopo anno, con grande incertezza.
Per queste aziende Amazon potrebbe almeno essere un approdo utile.
Vendere come venditore di terza parte su Amazon Marketplace potrebbe voler dire:
- costruire un controllo sui propri prodotti e sulla loro rappresentazione. Spesso queste aziende sono presenti su Amazon a loro insaputa.
- costruire relazioni con la rete vendita, rafforzando una identità di marca.
- controllare i prezzi al pubblico, le promozioni, utilizzando una gamma ampia di strumenti che Amazon mette a disposizione come le pagine potenziate per i brand.
- immagazzinare dati sui comportamenti, la demografia, le abitudini dei consumatori.
Difficile immaginare che il commercio si riposizioni sugli equilibri tra produzione, distribuzione e consumo che sono ormai saltati e difficile immaginare che “i negozi con vitamine” sopravvivano, soprattutto quando generano volumi d’affari esigui.
In questo senso e per davvero, se c’è una apocalisse del retail, c’è pure la trasformazione del retail.
Foto di 200 Degrees da Pixabay